
La risposta la fornisce una recentissima indagine effettuata da AstraRicerche che ha scattato un’istantanea del rapporto tra italiani e antibiotici. Buona la consapevolezza generale su questi farmaci , ma tra gli under 24 regna la disinformazione: ben il 47% ritiene che in caso di febbre, mal di gola o mal d’orecchio si debba utilizzare subito l’antibiotico e il 35% è convinto che gli antibiotici possano essere usati anche per prevenire le malattie. Non solo: soltanto il 40% degli intervistati sa che gli antibiotici sono efficaci solo sui batteri e non sui virus . E così, c’è il rischio che vengano usati “ a vuoto “, con tutti i pericoli che ne derivano. Per sapere come utilizzarli al meglio ne abbiamo parlato con il dottor Antonio Clavenna, farmacologo dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano.
Usare antibiotici inutilmente cosa comporta?
Facilita la creazione di ceppi di “superbatteri” che, grazie a modificazioni genetiche o adattamenti biochimici, diventano invincibili e ormai resistenti alle molecole degli antibiotici che dovrebbero annientarli. Un problema, questo, che sta diventando una vera e propria emergenza: stando ai dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, attualmente ci sono 12 sorvegliati speciali, tra cui figurano l’Acinetobacter, lo Pseudomonas e vari componenti della famiglia delle Enterobacteriaceae (tra cui Klebsiella, Enterocoli, Serratia e Proteus) che sono ormai insensibili a molti antibiotici anche se possono causare gravi infezioni, soprattutto in ambito ospedaliero, del flusso sanguigno e polmoniti. Gli errori che fanno da carburante alla antibiotico-resistenza? Usare questi farmaci impropriamente, magari affidandosi al fai da te, utilizzarli a dosaggi inadeguati, o per cure troppo brevi.
Quindi mai interromperli prima di 5 giorni…
In linea di massima si, anche se il tempo di cura è subordinato al tipo di infezione e all’antibiotico utilizzato. Oggi, per esempio, ne esiste uno (l’azitromicina, indicata per infezioni respiratorie come bronchiti e polmoniti e andato ingiustificatamente a ruba come cura per il Covid 19) che va assunto per soli 3 giorni. Di solito una cura standard ne dura però 5-7, ma per certe patologie come una polmonite può protrarsi sino a 14-21. La regola: attenersi a quanto prescritto dal medico, evitando “tagli”, magari perché i sintomi sono scomparsi e si sta meglio.

Cosa succede in questo caso ?
È più facile avere una ricaduta, ma l’antibiotico utilizzato in prima battuta, complice il taglio della terapia, ormai non è più efficace e se ne deve utilizzare un altro. Non solo: accorciando le cure, il batterio non viene eliminato dall’organismo e, anche se si sta bene, lo si può passare ad altri con uno starnuto o un colpo di tosse. Poiché è diventato resistente, però, non può essere più messo alle corde dallo stesso l’antibiotico, ormai trasformato in un’arma spuntata. Rischi analoghi, anche se minori ma non pari a zero, se si dimentica una dose o la si salta.
Che fare in caso di dimenticanza ?
Prendere la dose di antibiotico non appena ci si accorge di averla saltata e assumere quella successiva anticipandola di una sola ora rispetto all’intervallo indicato dal bugiardino. Se per esempio la posologia prevede una pastiglia ogni 12 ore ( alle 9 del mattino e alle 9 della sera) e se ne assume una con 3 ore di ritardo (ad esempio alle 12 ) si deve anticipare quella successiva di un’ora, e quindi alle 23 che, da quel momento in poi, diventa il nuovo orario di riferimento e da cui conteggiare le 12 ore di intervallo. Vietato, invece, non tener conto della dimenticanza e passare direttamente alla dose successiva, magari assumendo due compresse in un’unica soluzione: si rischia solo un inutile sovradosaggio che potrebbe provocare effetti collaterali indesiderati.

Gli antibiotici vannno presi in caso di febbre?
Sì, ma solo se il rialzo è legato a un’infezione batterica, come una polmonite o un’infezione delle vie urinarie, che l’organismo non riesce a superare da solo. In caso di influenza o raffreddore, malattie che sono provocate da virus, l’antibiotico è invece inutile: non ha nessuna azione nel rallentare la crescita virale, compito che spetta invece al nostro sistema immunitario. L’antibiotico può essere prescritto in seconda battuta se l’influenza o il raffreddore si complicano con un’infezione batterica delle vie aeree, come un’otite, una sinusite o una bronchite. Gli antibiotici vanno invece presi, anche se non c’è febbre, in caso di ascesso dentale perché l’infezione può diffondersi alle zone vicine.
Se la febbre non cala dopo un paio di giorni vuol dire che l’antibiotico è inefficace?
No: l’antibiotico non agisce sulla temperatura corporea, come fa invece l’antipiretico, ed è normale che nei primi 2-3 giorni di cura la febbre rimanga più o meno costante. Solo se persiste più a lungo, l’antibiotico utilizzato potrebbe non essere quello più indicato per annientare il batterio che ha aggredito l’organismo ed è necessario variare le cure. In questo caso, il medico può prescrivere un antibiogramma, un test di laboratorio che identifica qual è la molecola più efficace per metterlo definitivamente alle corde.

Gli antibiotici possono dare diarrea ?
È uno degli effetti collaterali più frequenti: gli antibiotici aggrediscono i germi responsabili dell’infezione, ma anche i batteri “buoni” che colonizzano l’intestino, alterandone l’equilibrio. Proprio per questo, è utile associarli a integratori a base di probiotici, da assumere sin dall’inizio della cura. Tra i più efficaci ci sono quelli a base di lactobacilli e bifidobatteri, con un occhio di riguardo per il Rhamnosus GG, in grado di aderire alla parete intestinale e di dar manforte alla flora batterica intestinale, e per il Saccharomyces Boulardii, noto anche come “fermento lattico spazzino”. Attenzione però alla quantità di colture batteriche dell’integratore: la dose minima efficace per il Rhamnosus GG sembra essere di 2 miliardi al giorno, ma stando ad una revisione Cochrane di studi condotti in età pediatrica addirittura di 5 miliardi.
Meglio prenderli a stomaco vuoto o pieno?
Dipende dal tipo di antibiotico. Alcuni, a base per esempio di amoxicillina e acido clavulanico, possono dare nausea o pesantezza di stomaco e assumerli dopo mangiato riduce questi effetti. Queste avvertenze sono comunque riportate sul bugiardino dei farmaci, ma se non c’è alcuna indicazione in questo senso significa che è indifferente assumerli a stomaco pieno o vuoto. Da sfatare, invece, la credenza che durante le cure antibiotiche non si debba assumere uova. L’unica associazione proibita è quella tra tetracicline (per altro oggi poco usate) o fluorochinolonici con latte e latticini: per il loro contenuto di calcio, questi alimenti riducono l’assorbimento delle molecole farmacologiche, diminuendone l’efficacia.